PIERO MOCHI



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Piero Mochi è nato a Livorno nel 1940. Ha iniziato a dipingere nel 1956, e dal 1957 al 1958 ha frequentato la Libera Accademia Trossi-Uberti di Livorno. Nel 1966 ha fondato, con Umberto Allori, Mario Bonsignori e Roberto Saviozzi, il gruppo “Attias”, del quale ha fatto parte per circa vent’anni e con il quale ha inteso proporre un’arte sensibile ai problemi sociali e ambientali dell’uomo. La prima collettiva del gruppo fu realizzata a Firenze nel 1967, subito dopo l’alluvione, alla Galleria G.A.I., che era stata allagata, successivamente restaurata e inaugurata per la mostra del gruppo da Giorgio La Pira.
Nel 1969, a soli 29 anni, fu colpito da un episodio ictale cerebrale che gli causò un importante impedimento motorio all’emisoma destro da cui con il tempo, l’esercizio e una grande volontà è emerso recuperando un buon livello funzionale. Una personale a Bottega d’Arte, Livorno (1972) sancì l’effettivo ritorno di Mochi all’operatività artistica. Agli inizi degli anni ’80 del 1900, conclusasi la parabola del gruppo “Attias”, Mochi iniziò un nuovo corso creativo ed espositivo dando vita con Paolo Netto al sodalizio “Studio 2” e trasferendosi in un nuovo studio, molto ampio, dove nel 1990 realizzò la sua ultima personale, presentata da Patrizia Pedri. In seguito è intervenuto un lungo periodo di riflessione e di ritiro dalla situazione, coronato dal suo trasferimento in campagna (dove tuttora vive) e non da molti anni risolto da un nuovo e diverso tipo di operazione artistica, basata sulla tecnica dell’assemblaggio. Da ora Mochi produce soltanto Pesci di Legno.
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“Piero Mochi ha già una lunga storia di frequentazione artistica quando, attraversata tutta una serie di esperienze pittoriche ed espositive (a partire dagli anni ’60 del 1900), e raggiunto un livello che possiamo definire culminante dal punto di vista poetico e linguistico, decidere di affrontare l’esperienza, per lungo tempo, del silenzio. Un silenzio non legato a casuali ed imprevedibili difficoltà tecniche (evento non tanto infrequente nella storia personale di un artista), né a un esaurimento delle motivazioni e delle idee, né a una necessità di riflessione e di riorganizzazione del proprio panorama espressivo, bensì a un voluto ritiro dalla situazione […] Siamo agli ultimi anni del 1900. Il mondo si prepara all’avvento del nuovo millennio, e Mochi esce di scena, silenziosamente e senza proclami.
In seguito, dopo molto tempo, gli antichi impulsi, la necessità di esprimersi, la spinta a confrontarsi con gli altri riemergono, prepotentemente. E Mochi, non tanti anni fa, è ritornato. […] Così l’artista abbandona definitivamente la pittura e si rivolge a un lavoro di assemblaggio, mai prima sperimentato, curiosamente e significativamente bloccato su un unico soggetto: i pesci.
In questa scelta sopravvivono una certa, non sopita necessità di rappresentazione, ed anche una certa sensibilità tutta labronica per il mare; ma si manifestano, anche, un desiderio di identità e un senso di vicinanza psicologica che pongono i pesci, questi liberi abitatori degli sconfinati spazi marini, al centro della sua attenzione e della sua riflessione. Ecco, dunque, che da qualche anno Mochi realizza, in serie quasi ossessiva, soltanto dei Pesci di legno, tutti simili, eppure di forme e fogge sempre diverse, formati con pezzi di legno, vecchie assi spezzate, tavole rose dal mare e gettate sulla costa dal libeccio, materiali trovati ovunque e utilizzati con inesauribile fantasia, ogni volta inventando soluzioni formali nuovi ed imprevedibili. […] Ma, a proposito dei Pesci di Mochi, sono da avanzare almeno due altre osservazioni. Da una parte va sottolineata la malinconica poesia, velata di ironia, che permea di sé questi problematici e misteriosi personaggi: sono animali scopertamente artificiali ma allusivi di una condizione esistenziale densa e libera, quasi aspirando a una vita effettiva che non è loro concessa, una sorta di imprevedibile revisione del mito collodiano modificato nel suo obiettivo originale, da legno a animale invece che da legno a uomo. Come secondo elemento voglio suggerire una considerazione più empirica, di strategia presentativa: i Pesci di Mochi, se disposti in numero elevato ad abitare uno spazio espositivo, sono in grado di disegnare scenari nuovi e sorprendenti, surreali, tali da modificare profondamente le coordinate spaziali e psicologiche del luogo, dunque installazioni in tutta la verità e la proprietà di tale definizione, spesso in contrasto clamoroso con il contesto (quando questo sia una sala, una campagna, un bosco, cioè luoghi del tutto “altri” rispetto all’habitat abituale dei protagonisti) […].
Essendo queste le loro caratteristiche, i Pesci di Mochi, ormai lontanissimi dalle precedenti esperienze pittoriche dell’autore, sculture non-sculture, addirittura non opere bensì sistemi di opere che trovano nell’installazione il loro modo più naturale e adeguato di presentazione, ed infine personaggi ricchi di intensa carica emozionale, sono vere e solide opere d’arte."

Bruno Sullo


 
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