ALESSIO VACCARI



ALESSIO VACCARI ALESSIO VACCARI :

Nasce a Pisa nel 1977. Si avvicina alla pittura a circa vent’anni; dopo il diploma di perito tecnico e due anni di Facoltà di Scienza Naturali di Pisa, decide di seguire la sua vocazione e iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Firenze.
Successivamente si trasferisce a Roma per completare i suoi studi specializzandosi in decorazione e conseguendo l’abilitazione all’insegnamento in Storia dell’Arte e Arte e Immagine.
Negli anni ha maturato la sua ricerca artistica attraverso lo studio caparbio e appassionato della grande tradizione figurativa in una linea ideale che comprende la pittura naturalistica romana, Vermeer, Chardin, Friedrich, Seurat, Hammershöi, Giacometti, Ferroni, Guccione. Personalità inarrivabili, tutti parte di una famiglia spirituale, uniti dall’esigenza di elaborare, attraverso gli strumenti del mestiere, la sensazione di indefinito che appartiene allo spazio, alle cose stesse, alla memoria che le custodisce.
La sua prima fonte di ispirazione è sempre lo spazio e la luce che lo struttura; tuttavia è difficile dire esattamente cosa l’artista voglia esprimere, è più un certo sentire … la vibrazione della luce, il sospiro del tempo immobile, l’indefinita percezione dell’essere.
La sua ricerca si fonda quindi su trame di piccoli punti di colore (olio e raramente acrilico preferito per la fase iniziale di un’opera) sovrapposte in lente stesure che vanno via via a comporre un’immagine evanescente. Un riflesso mentale dell’immagine che inizialmente ha davanti agli occhi, nel suo studio/giardino.

ALESSIO VACCARI

Vi è una prassi molto particolare che consiste nel dipingere cose minime per raggiungere intensità massime. E’ questo il modo operativo di Alessio Vaccari. Il meccanismo psichico di per sé potrebbe apparire assai elementare: prendere un oggetto della vita quotidiana, isolarlo come se fosse sotto l’occhio attento d’ un osservatore da laboratorio, interrogarne il significato, definirne ciò che i filosofi tedeschi chiamano la Gestalt, l’identità percepita, e infine restituirne l’ anima con una pittura attenta e precisa. E’ un lavorio che richiede una concentrazione mentale portata alle sue estreme conseguenze. …
La sua è una strada curiosamente italiana, nella quale fu preceduto dalla complessa personalità di Gianfranco Ferroni, forse il primo che abbandonò la strada estetica e concettuale di Morandi per affrontare un percorso analogo ma sostanzialmente esistenziale. Era toscano Ferroni e lasciò un’ impronta sua su quegli artisti dalle parti di Viareggio che andarono a formare la corrente della “metacosa”, da Bernardino Luino a Giuseppe Bartolini e al particolarissimo Sandro Luporini che cantava le spiagge vuote dell’ inverno mentre scriveva i testi delle canzoni di Giorgio Gaber. Certo è che per loro l’attenzione rinascimentale per il disegno, quella che li distingueva sin dall’ alba della modernità dai veneti, dai bolognesi e dai romani, continuava ad essere un obbligo linguistico quasi etico. Forse fu colpa della luce tersa e dei tramonti sul mare tirreno se la loro visione si formava nitida come quella degli uomini del Quattrocento. Forse era invece una reazione toscana alla troppa materia degli altri se loro avevano ritrovato la passione per il pennello fine e per la pittura distesa con attenzione quasi maniacale.
Certo è che Alessio Vaccari ha intrapreso con determinazione un percorso che proprio da quelle premesse iniziava. La ricerca della poesia come ultima istanza del dipingere appare oggi nitida e quasi ermetica. Torna in mente la scrittura quintessenziale d’ un lucchese nato per i capricci della storia sua ad Alessandria d’ Egitto, Giuseppe Ungaretti. Si declina assai facilmente Ungaretti con l’altro poeta tirreno, Eugenio Montale, per il quale gli ossi di seppia avevano la medesima magia che per Vaccari può avere un barattolo su un tavolo solitario di legno. Il concetto antico di natura silente ritrovava così un diritto e uno spazio linguistico nel caos della modernità…
Il microcosmo apparentemente chiuso di Vaccari si apre così allo sguardo degli altri. Si fa garbatamente esibizionista. E lascia con garbo penetrare l’ occhio di chi guarda l’opera finita, anzi lo invita a sbirciare, a decifrare il ritmo della pittura che sostiene la narrazione. La poesia è intuizione, la genera, talvolta la richiede.
Philippe Daverio





 
© 2024 Rivista Culturale Arte a Livorno... e oltre confine