STEFANO PILATO ( PESCE FRESCO)



STEFANO PILATO ( PESCE FRESCO) STEFANO PILATO (Pesce Fresco):
Riflessioni di un amico su quel che faccio

Rifiuti, scarti, pezzi di oggetti recuperati dal mare e dalla spiaggia, in discarica, da qualcuno che – civilmente, s’intende – pensa di farti un favore scaricandoti l’ultimo risultato delle pulizie di primavera proprio davanti l’atelier.
Povere cose ormai condannate a morte dalla frenesia tutta contemporanea del consumo, una parte della nostra pelle artificiale della quale ci liberiamo volentieri, inutile fardello, perché riusciamo – con una mancanza di pudore che va al di là del bene e del male - a circondarci sempre di inutili cose nuove, scartando il vecchio al quale, fino a un momento prima, dedicavamo uno sguardo non dico affettuoso, ma almeno complice, per il solo fatto di essere vicino a noi, parte temporanea della nostra futile esistenza quotidiana.
Accade poi che queste due istanze facciano corto circuito nella mente e nello spirito di Stefano Pilato. Il quale Stefano, profondamente convinto che nelle vane cose scartate vi sia un residuo di élan vital da noialtri quotidianamente conferitogli, ma da loro medesime benevolmente sussunto, prende, raccoglie gli oggetti e i pezzi, li pensa, li vede in nuova forma, ne rivitalizza i ruoli e le forme, li fa incontrare, coniugare, figliare esistenze tutte nuove, cariche di memoria (del vecchio ruolo di oggetti qualunque) e di presente.
Per farli crescere, diventare opere d’arte, li nutre di ironia. Altissima forma d’arte anch’essa, quella di Stefano Pilato è un’ironia stralunata, “maravigliosa e pinocchiesca”, l’ironia di chi riesce a guardare alle cose con occhio sì distaccato, ma senza aver perso nulla di un’ingenuità primitiva, sostanziale, vera, un candore filosofico di grande spessore artistico, appunto.
Le opere di Stefano Pilato sono dunque figlie del grande corto circuito intuizione-ironia, vivono delle loro vecchie esistenze eppure sono palesemente delle vite nuove, sembrano essere arrivate su questo mondo come per caso (dei “pesci fuor d’acqua”), eppure ti precipitano in una dimensione tutta nuova, ludica, gravida di forza emotiva buona.
Riesce difficile staccare la mente dal vecchio scarico di un anonimo lavello che fa da apparato respiratorio di un grande pesce di fondale, eppure il pesce respira proprio da lì, e tu sai che non potrebbe essere altrimenti, che la grande creatura morirebbe se non fosse per quel misero residuo urbano che lo ossigena, grande respiro di ogni lavello di ogni casa di ognuno di noi…
Adesso il gioco è palese: la creatura palpita di fronte a te, di vecchia e nuova vita, è un archeocyborg che si prende gioco di te, che fa della quotidiana vanità un motivo di carburante artistico, che ti precipita in una dimensione altra, giocosa sì ma alta, che ti scuote e ti risveglia dal banale quotidiano perché – a guardarlo bene – il quotidiano non è mai banale, se visto in una luce nuova, la luce dell’arte che Stefano accende nelle piccole Lische come nei grandi Fondali fluorescenti, nei Pinokki che fuggono agguantati al Tonno come nelle grandi istallazioni di carta e metallo, nelle Piantane-Semaforo come nei Grandi Strumenti Musicali…

Guido Amato “Rifiuti”

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