CAFIERO FILIPPELLI



CAFIERO FILIPPELLI CAFIERO FILIPPELLI:

Una “luce” interiore che tutto illumina

di
Stefano Barbieri

La storia dell’arte ci testimonia quanto le tribolazioni di una vita travagliata non riescano a frenare un afflato artistico che sia profondo e genuino, ma, al contrario, portino ad un arricchimento dell’artista in termini di sensibilità, di umanità, di pathos.
Vita senza dubbio difficile, ma ricca di volontà e passione, fu quella di Cafiero Filippelli, uno dei più grandi maestri della “Scuola Labronica del Novecento”, diretta discendente della corrente postmacchiaiola.
In un contesto di povertà, ultimo di sei fratelli, già all’età di otto anni avverte una forte passione per la pittura, che esprime disegnando con i gessetti e con il carboncino sui marciapiedi della sua città, Livorno, ciò che gli consente di racimolare qualche spicciolo.
Rimasto precocemente orfano, è costretto a lavorare per contribuire al sostentamento della famiglia, passando dalla bottega di un vinaio a quella di un barbiere.
A volte il destino di un uomo è segnato da un’intuizione: la madre comprende il talento di Cafiero e si rivolge allo scultore Gori, per cui in passato aveva posato come modella, affinché indirizzi il figlio a studi appropriati. Filippelli potrà così frequentare la Scuola di Arti e Mestieri a Livorno e successivamente l’Accademia delle Belle Arti di Firenze.
Dopo la guerra, moglie e due figli, si ritrova a lavorare in una fabbrica di letti in ferro, decorandone le testate con motivi floreali. Quelle stesse testate, anni dopo, quando Filippelli sarà divenuto pittore affermato, subiranno il destino di essere sfasciate dagli amatori dell’artista per essere trasformate in quadri.
Ma l’attività di decoratore non può certo esaurire la vena artistica di Cafiero, il quale la sera tardi, dopo il lavoro, trova le energie per continuare a dipingere alla luce fioca di una lampada o di una candela. Dobbiamo dire grazie anche all’assenza della luce elettrica se molte opere dell’artista risultano tanto affascinanti: nascono così i “canfini” (vecchio nome dei lumi a petrolio), i celebri “interni” del Filippelli tanto apprezzati dal pubblico e dalla critica .
Quelle ritratte sono soprattutto scene di vita quotidiana, di intimità familiare, atmosfere che, ciò che è fin troppo facile dire, gli eventi della vita gli hanno in gran parte precluso.
Sono famiglie riunite intorno alla tavola imbandita, donne intente a piccoli lavori domestici, madri premurose che seguono lo studio dei propri figli…
La luce, spesso soffusa, gioca un ruolo capace di grande suggestione, valorizzando le linee morbide e i colori caldi e pastosi, mettendo in risalto la figura umana.
Sarebbe però gravemente riduttivo confinare la figura di Filippelli a quella di “mago degli interni”, e lo stesso artista spesso se ne doleva. Filippelli ci ha lasciato in eredità , degno discendente della scuola dei Macchiaioli, anche incantevoli esterni eseguiti dal vero: marine, scene agresti della campagna livornese e pisana, scorci della sua amata Livorno, di Antignano, della pineta di Ardenza…
Come non ricordare poi i nudi femminili, caratterizzati da uno studio anatomico accurato, da tonalità delicate, quasi pastello, dall’armonioso drappeggio di coperte e tendaggi.
Ed ancora: i ritratti, verso i quali il maestro si sentiva istintivamente portato, le decorazioni di altari, gli scorci paesaggistici colti alla luce del sole e poi rielaborati in studio.
La partecipazione a prestigiose manifestazioni e il crescente successo di pubblico e di critica non andarono mai ad intaccare la natura di un uomo semplice e spontaneo, capace di trarre dall’intimo note di sincerissima poesia e di sublime delicatezza, sempre fedele alle più pure tradizioni toscane.
Un’arte, quella di Filippelli, che ancora oggi sa coinvolgere ed emozionare, trascinandoci in un’atmosfera di vecchi sapori quasi dimenticati.



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